Sgraffignolare, nel personale vocabolario del signor Pod, della consorte Casilia e della loro figlia Arietta è attività che non ha ovviamente alcunché di ladresco. Avendo essi tutto assai ristretto, a partire dai dieci centimetri di altezza, e abitando parecchio al di sotto di dove gli umani trascinano i piedi, con i tempi che corrono (negli anni Cinquanta dove è ambientata la loro storia, ma anche oggi) prendere in prestito oggetti e farli misteriosamente “sparire” dalla circolazione è il più innocuo dei significati di quel verbo. Purché gli umani del mondo di sopra non siano testimoni di tali sparizioni. Pena: emigrare nel bosco, in una vecchia tana disabitata, al freddo e poco di buono da mettere in bocca. E se alla voce del verbo sgraffignolare ci aggiungi pure un soggetto, con tutte le migliori intenzioni s’intende, ecco la microscopica razza di creaturine sfuggite alla fantasia della scrittrice inglese Mary Norton uscire allo scoperto senza volerlo. O quasi.
Le cinque avventure pubblicate a partire dagli anni Cinquanta (e in Italia stampate da Salani), come quasi tutti i racconti fantastici sembrano possedere il fascino indiscutibile del vero. Come a voler insinuare che tali creaturine – in tutto simili a noi tranne l’altezza – potrebbero perfino esistere davvero. Almeno così recitano le biografie striminzite di Mary Norton, considerato che le tracce degli Sgraffignoli, prima ancora che letterarie, dice di averle rinvenute nella vecchia villa di famiglia nel Bedfordshire in cui è cresciuta. Qui finisce una storia e ne comincia subito un’altra. Ha poco più di vent’anni, Hayao Miyazaki, quando legge la traduzione giapponese per Iwanami Shoten del romanzo di Mary Norton The Borrowers (da noi: La saga degli Sgraffignoli – Sotto il pavimento), all’incirca nel 1969 e dal titolo Yukashita no Kobitotachi. È a inizi carriera, ancora intercalatore scontento di Toei Doga e sogna di farne un film animato. Lui che all’università andava già matto per la letteratura inglese per l’infanzia tra Mary Norton, appunto, e la signora Philippa Pearce (quella di Il giardino di mezzanotte). Ma Toei Doga è interessata a ben altro. Quarant’anni più tardi, una decina di film di successo sulle spalle e un Premio Oscar sul comodino, eccolo di nuovo alle prese con quel sogno. Lui che adora i vecchi giardini inglesi dismessi ma anche quelli dai mille colori (vedi: Kiki’s Delivery Service) – e in The Borrowers ce n’è uno bellissimo.
Lui che con la mania di disegnare cose grandi grandi e artefatti giganteschi servirà su un piatto d’argento agli Sgraffignoli immense cattedrali umane e prati come foreste. Lui che, per la prima volta, è riuscito a prevalere sul fidato produttore Toshio Suzuki e sulla scelta del nuovo film Ghibli da realizzare dopo i tifoni e la troppa acqua salata di Ponyo sulla scogliera (2008). Mentre il suo film incassava milioni di yen ogni giorno, i due discutevano – sigaretta alla mano – su cosa fosse preferibile per il bene dello studio (con Takahata ancora disperso chissà dove…) e così durante l’estate 2008 il regista inoltra alla stampa un breve comunicato in cui presenta il progetto. In sintesi: il film che all’inizio chiama Chiisana Arrietty e poi diventerà Karigurashi no Arrietty (Miyazaki amava il suono della parola Arrietty), traslocherà dall’Inghilterra degli anni Cinquanta al Giappone contemporaneo del 2010. In particolare a Tokyo, nei dintorni di Koganei il quartiere dove lo Studio Ghibli è praticamente di casa. Sarà una storia intrisa di quotidianità con protagonista una famiglia e la loro figlia di quattordici anni che incontra del tutto casualmente il giovane Shô, l’umano che è andato a vivere nella casa dell’anziana nonna. Tra i due giovani scocca la scintilla, nonostante le dimensioni avverse. Miyazaki desidera che Arrietty sia il film ideale per riportare un pizzico di speranza e conforto alle persone che vivono questi tempi davvero troppo confusi e caotici. Ma anche troppo tecnologici se rilanciamo la sua ultima provocazione in merito all’effetto masturbatorio che iPod, telefonini e diavolerie assortite hanno sulla gente. Eppure se la vediamo dal punto di vista di Suzuki, vecchia volpe nel saper vendere un film, Karigurashi no Arrietty è inaspettatamente diventato, e non ha esitato a esserlo, un figlio perfetto della tecnologia e dell’Era di Internet a partire dal blog ufficiale che – primo nella storia del Ghibli – ha costantemente informato i fan sui lavori in corso senza nascondersi nel sensazionalismo e lamentando pure ritardi e malumori dello staff. In video si è presentato Junichi Nishioka, sempre sorridente anche quando tutto pareva andar storto. Mica il regista designato. E una ragione c’è.
“Che ne dici se il film lo dirigesse Hiromasa Yonebayashi?”, butta lì Suzuki nel corso del secondo atto della questione Arrietty. Che, per quanto le riguarda povera cara, è ancora alla fase “essere o non essere”. In realtà Suzuki spara il nomignolo Maro con il quale Yonebayashi è conosciuto da tutto lo staff del Ghibli (probabile, anche da amici e parenti vista l’estensione chilometrica del nome). Ma non lo spara a caso, bensì ragionando con intuito sorprendente sui “giovani” dello studio che potrebbero cimentarsi in questo nuovo progetto.
Prima ancora di essere il più giovane regista Ghibli, con i suoi 36 anni Maro è anche uno dei più validi animatori. Si è fatto notare in La città incantata e Ponyo sulla scogliera, lo hanno messo al lavoro sui corti del Museo Ghibli e ha dato una mano a Goro Miyazaki in I racconti di Terramare. Ma di fare il regista, neanche a parlarne. Un conto è animare decine di scene con la perizia che Miya-san reclama come assoluto comandamento; altra cosa concepire un e-konte di 90 minuti e dirigere una squadra di amici. Miyazaki e Suzuki lo convincono con un sorriso dicendogli che “tanto è già tutto nel romanzo”. Un convincimento a metà, però. Miyazaki aveva già pensato a Yonebayashi come animatore principale per il suo nuovo film. Sarà per la prossima volta. Siccome è al debutto, gli vietano di presenziare alle conferenze stampa e, soprattutto, lo esortano a tenersi lontano dal blog. Un film è sempre attività rischiosa, non sai mai se arriverà ai titoli di coda. Quindi meglio non sputtanargli la carriera. Quando il compianto Yoshifumi Kondo realizzò Mimi wo sumaseba (1995) aveva 45 anni e un curriculum notevole. Anche Hiroyuki Morita, autore di Neko no Ongaeshi (2002) aveva già ampiamente dato.
Ma oltre che bravo animatore, Yonebayashi si rivela a sorpresa regista di talento. I temuti e-konte, che trasformano in immagini le parole della sceneggiatura scritta dallo stesso Miyazaki (basata sui suoi ricordi di lettore: il romanzo della Norton non lo apriva dagli anni Sessanta) e da Keiko Miwa (già autrice di I racconti di Terramare), sono di una sorprendente bellezza e ricchi di immaginazione. Parola di Suzuki. L’ultima volta che un anziano dello studio aveva fatto altrettanto è stata quella in cui Yasuo Otsuka lodò il lavoro di Goro Miyazaki con Terramare. A qualcosa è pure servito. Sebbene nei primi mesi del 2010 la produzione effettiva di scene complete ha al suo attivo soltanto una cinquantina di minuti e il doppiaggio già realizzato, con il morale altalenante dello staff, la data di uscita di Karigurashi no Arrietty non cambia: il film dovrà uscire il 17 luglio.
Nessuno lo dice esplicitamente, ma l’umore è invece alle stelle. Infatti questo film sembra fatto apposta per mettere alla prova non solo i disegnatori di più basso livello, ma anche key animator come Akihiko Yamashita e Megumi Kagawa, oltre allo stesso Yonebayashi. Se non sono presenti scene d’azione nel significato miyazakiano del termine, Arrietty promette al contrario momenti intimisti e “statica” quotidianità che si riscatterà, pare, sulla pelle (e sui movimenti, le azioni) di tutti i personaggi – anche quelli apparentemente secondari come la signora Haru, una delle due donne che abitano nella vecchia casa. Se i primi osservatori hanno parlato di questo film come di una prova artistica importante per il Ghibli e il suo futuro dopo Neko no Ongaeshi e I racconti di Terramare, la verità nuda e cruda è che questo lungometraggio sarà il termometro perfetto per misurare la temperatura creativa dei tanto attesi eredi di una tradizione cinematografica che dura dal 1984 e che limiti di età e comprensibile stanchezza di Miya-san e Takahata pongono in margine alla leggenda degli anime giapponesi.
Arrietty insomma come altare sacrificale dei personali talenti e della presunta genialità secondo i canoni che i due maestri hanno sempre preteso dalle matricole dello studio. Qualcosa che ha a che vedere con la sorpresa, la curiosità. Non certo la banalità e le ossessioni otaku dell’industria animata locale.
Ma il colpo di coda finale se lo riserva Toshio Suzuki. È lui a scegliere la cantante e musicista francese Cécile Corbel come autrice delle canzoni e delle musiche del film. Celtiche, visto il suo meraviglioso background (ascoltare Songbook 1 e 2 per credere) e a immagine e somiglianza del contesto fantastico a cui appartiene Karigurashi no Arrietty, ma anche la letteratura inglese per l’infanzia in generale. È bastato davvero poco per essere arruolarla nell’impresa. Un cd di prova inviato a Suzuki con due righe di presentazione: “I film Ghibli hanno ispirato le mie canzoni!”. Ed è bastato lanciare Arrietty’s Song in Rete tramite iTunes per trasformare Cécile nella nuova celebrità del Sol Levante. Poetica e a misura di cuore come solo i film Ghibli, appunto, sanno fare.
Testo di Mario A. Rumor
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